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Spedizione al Pik Lenin (7134 m) in Kyrghizstan passando per Bukhara e Samarcanda nell'Uzbekizstan.


Caldo, Livia, Oli, Sandro, Dany, Annina, Luca, Francesca e Marco.

20 Luglio - 18 Agosto 2001

"Quando si vedono i nomadi errare nelle loro eterne migrazioni sotto i cieli immensi dell'Asia Centrale, ci si rende conto che i veri confini di questa regione del mondo non sono politici ma naturali. Quasi sempre sono montagne." Geoffrey Moorhouse.

Pamir, un nome che evoca mistero e lontananza. Situato nell'Asia Centrale a cavallo delle nuove repubbliche del Kyrghyzstan e del Tagikistan, nate dalla disgregazione dell'ex-Unione Sovietica, è un susseguirsi di vallate disabitate, picchi vertiginosi, fiumi di ghiaccio squassati da crepacci e ghiacciai pensili, un impressionante oceano di montagne bianco e azzurro. Bam-i-Dunya, il tetto del mondo, così lo chiamarono i Persiani. Da qui si diramano le più alte catene montuose della terra, l'Hindukush a nord-ovest, il Tien Shan a nord-est, il Karakorum e l'Himalaya a sud-est. Separato dalla Russia dalle sterminate steppe del Kazakstan, il Pamir è stato per millenni il crocevia del commercio tra oriente e occidente attraverso la Via della Seta e i famosi mercati di Bukhara e Samarcanda.

Nel centro di questa regione al confine tra Kyrghyzstan e Tagikistan, sorge il Pik Lenin, una gigantesca muraglia di neve e ghiaccio alta più di 7000 metri. Salito per la prima volta nel '34 da un gruppo di sovietici, tra cui il mitico Vladimir Abalakov, è stato sceso per la prima volta con gli sci nel '74 da un gruppo franco-austriaco. Nel '99 una spedizione italiana della scuola triestina di scialpinismo ha tentato il Pik Lenin con gli sci ma le cattive condizioni del tempo non hanno consentito di raggiungere la cima.
Così è nata la mia idea di organizzare una spedizione, senza guide italiane o locali, solo amici. Obiettivo, quello di conquistare la cima attraverso la cresta nord-ovest e scendere con gli sci dalla parete nord su una pendenza di circa 40-45°. La cima non presenta particolari difficoltà tecniche ma l'ascensione si svolge in un ambiente aspro e severo caratterizzato da condizioni meteorologiche instabili e da forti venti in quota, dove le valanghe e le slavine costituiscono un pericolo oggettivo.

I preparativi per una spedizione del genere sono cominciati 8 mesi prima. Trovare un supporto logistico, pianificare e acquistare il materiale, il cibo, trovare uno sponsor, tutte cose che sono necessarie se non vuoi acquistare il pacchetto già confezionato. Noi in più abbiamo aggiunto un giro turistico in Uzbekistan per visitare le città di Samarcanda e Bukhara.
Ecco comunque molte preziose informazioni e consigli che vi possono tornare utili nel caso vogliate organizzarne una voi di spedizione:
INFO SPEDIZIONE


 

La parete nord del Pik Lenin in Kyrghizstan 

 

La spedizione

 

Finalmente il 20 luglio partiamo, via Istanbul, per Bishkek, capitale del Kyrghyzstan. Dopo un'interminabile procedura per ritirare i bagagli ci imbarchiamo sull'aereo per Osh, un sgangheratissimo YAK-40 sovietico, una specie di autobus con le ali...probabilmente la parte più pericolosa della spedizione. Dopo aver sborsato 44 $ di extra luggage (sono permessi un massimo di 15 kg a testa), il carico dei bagagli lo facciamo noi stessi. Il pilota, vedendo il carico, si mette le mani nei capelli, e noi lo stesso vedendo lo stato dell'aeroplano. Durante il volo, i bagagli, stivati nel corridoio, vengono tenuti al loro posto da noi passeggeri.

In volo per Osh. A destra il carico dei bagagli in aereo lo facciamo noi stessi, poi ci fanno tornare indietro per l'imbarco ufficiale dei passeggeri

Arriviamo a Osh, dove ci accoglie Alia di Asia Tour, la nostra agenzia locale che ha organizzato per noi il trasporto fino al campo base.
Il giorno dopo, il 22 luglio, prendiamo l' URAL dell'agenzia, un bestione a 6 ruote motrici, residuo dell'ex esercito russo. Attraversiamo paesini e valli in cui il tempo si è fermato, la gente ci saluta davanti alle loro yurte, peccato non fermarsi. Siamo al confine con la Cina e il Tagikistan, le montagne del Pamir si cominciano ad intravedere all'orizzonte, guadiamo diversi fiumi, il mezzo non sembra avere problemi.

A destra il carico dei nostri bagagli sull'URAL a 6 ruote motrici.
Sotto alcuni momenti del lungo viaggio fino ad Achik Tash.

Arriviamo ad Achik Tash, il campo base, uno splendido prato coperto di stelle alpine... (qui non sono protette). In fondo, imponente, il Pik Lenin, con la sua fantastica parete nord. A noi europei, questi giganti fanno sempre una certa impressione.
Arriva Vadim, il capo dell'agenzia, di ritorno dal Pik Lenin. Non è riuscito ad arrivare in cima, troppo vento. Intanto comincia a piovere. Rimaniamo al campo 2 giorni, mangiando nella grande yurta predisposta dall'agenzia. Per passare il tempo giriamo un po' nei villaggi intorno. La gente è simpatica anche se è molto difficile comunicare con loro.

Sopra la parete nord del Pik Lenin vista dal campo base. A sinistra un villaggio locale ai piedi dell'enorme morena in fondo

Finalmente il 25 luglio partiamo alla volta del campo 1, dopo una breve contrattazione per portare parte del carico con cavalli e yak per un totale di 230 kg, si parte. Il mio zaino pesa sempre 20 kg però...
Nonostante abbia nevicato, fa molto caldo e la quota si fa sentire. Si scavalca la morena sulla sx orografica arrivando sul ghiacciaio. Gli yak non hanno problemi a saltare i crepacci evidenti. Il percorso fino al campo 1 continua in maniera rettilinea fino alla morena davanti alla parete nord. Arrivo al campo 1 mezzo morto (4h00', 3800m). La sera ho subito la nausea, si comincia bene. Riesco ad addormentarmi, ma il rombo di una valanga sveglia tutto il campo.

 

Il percorso scavalca la morena per poi percorrere il ghiacciaio per il lungo fino al campo 1, che rappresenta in effetti il vero campo base in cui si prepara l'ascensione al Pik Lenin.

Il 26 ci riposiamo al campo 1. Chi legge, chi gioca a carte nella tenda campo. Ci sono alcuni italiani, qualche spagnolo e una spedizione austriaca.

Sopra lo yak che ha trasportato i nostri sci al campo 1. A sinistra l'ampia morena dove vengono piantate le tende del campo 1

Il 27 luglio, alle 5.30 partiamo alla volta del campo 2, dobbiamo portare su le tende e parte del cibo per i giorni a venire e poi ridiscendere. 25 kg nello zaino a quella quota non scherzano affatto. Un crepaccio strapiombante interrompe la salita. Non è facile passarlo con tutto il materiale. Verso le 10.00 siamo al grande traverso sotto la parete nord, dobbiamo andare via veloci, non facile a quella quota e con quel carico. Sincronizzo i passi con il respiro, un passo espiro, un passo inspiro e via.

Il campo 2 (6h30', 5300 m) è situato sulla destra, in una zona protetta dalla caduta delle valanghe sulla morena. Una volta infatti era più in alto ed è stato portato via. Le tende, poggiate sul ghiaccio vivo, vengono ancorate con i sassi. Olivier, Daniela e Livia stanno male, l'altezza, l'insolazione? Lasciamo le cibarie nelle tende e, come previsto, scendiamo al campo 1. La notte nevica.

 

Sopra il superamento della difficoltosa crepacciata dopo il campo 1. Il passaggio poi del materiale richiede un po' di tempo. Sopra Luca intento nelle manovre.
A sinistra Livia e Oli attraversano il pianoro sotto la parete nord in vista del campo 2 (nella foto sulla lingua rocciosa che scende a sinistra della montagna priva di neve).
Sotto la vita nella tenda del campo 1 per 4 giorni. Si spara un po' di cazzate per non annoiarsi. Nella foto Emilio Previtali, Luca Dalla Santa, Elena Spalenza e i nostri amici spagnoli.

Siamo al campo 1, il 28 continua a nevicare. Daniela è gonfia in faccia, prende un Diamox, ma la decisione è quella di scendere, temiamo per un'edema. Sandro e Daniela raggiungono dunque, sotto la neve, il campo base. Siamo rimasti in 7. La giornata la passiamo a chiaccherare nella tenda campo con Emilio, Luca ed Elena. Intanto tornano al campo anche un gruppo di danesi, il vento li ha respinti e restare ai campi alti con questa neve si rischia di rimanere intrappolati. Intanto il cibo dell'agenzia è finito, c'è rimasto solo del brodo di verdure e del té. L'agenzia che aveva preso la gestione dei pasti per 4 spedizioni sembra completamente allo sbando. Per fortuna abbiamo portato del cibo in più per i giorni di riserva, utilizzeremo quello.
Il 29 è ancora una giornata sotto la neve. Il tempo non passa mai, oltre al cibo mancano anche gli argomenti di discussione. Ogni tanto si rimane zittiti dal rumore delle valanghe che cadono dalla parete nord. La vita è un continuo sciogliere la neve. Il rumore del fornello è la colonna sonora quotidiana. Oggi alcuni spagnoli scendono, la spedizione per loro finisce qui.
Anche il 30 nevica tutto il giorno, facciamo una passeggiata attorno al campo. Non so come, ma Luca si fa male ad un ginocchio, zoppica, parla già di ritirarsi, lo vedo molto poco motivato, il morale è sotto i tacchi. Il tempo è scandito dalle valanghe e dai pasti. Finalmente alla sera, d'improvviso si apre. Alcuni si preparano a partire per l'indomani. Noi siamo perplessi, nonostante le valanghe cadute potrebbe essere ancora pericoloso, mettiamo ai voti, aspettiamo ancora un giorno.
Il 31 portiamo del materiale alla crepaccia e mettiamo giù un piano di salita: ogni giorno un campo, c'è rimasto solo un giorno di riserva, deve andare tutto bene.


 

Finalmente il 1 Agosto partiamo, Luca decide di ritirarsi, l'Annina lo segue. Rimaniamo in 5.
Alle 6.00 io, Livia, Oli, Francesca e Marco ci mettiamo in marcia con gli sci ai piedi, arriviamo sul traverso sotto un sole cocente ed un caldo imprevisto. Occorre fare presto, non è il luogo ideale dove perdere tempo. Arrivo al campo 2 in preda ad un mal di testa allucinante, non so se per un'insolazione o per la quota, piango dal dolore sotto gli occhiali. Una bella pasta coi funghi e una minestra e sono come nuovo. Intanto solo io e Oli abbiamo ancora intenzione di scendere la nord con gli sci, ma Francesca e Marco ci fanno sapere che non collaborerebbero a portare dal campo 3 al campo 2 la nostra tenda... fantastico, proprio un bel team. Scegliamo allora di portare gli sci fin dove conviene.

La partenza all'alba per il campo 2. Sotto Livia ha appena lasciato il campo 2 in direzione del campo 3

Il 2 agosto, sci ai piedi, saliamo verso ovest arrivando sotto la parete del Razdelnaya. La neve è marcia, insciabile, lasciamo gli sci a quota 5800 m e proseguiamo a piedi. La salita è faticosa, conto 30 passi e mi fermo. Finalmente raggiungiamo la cima del Razdelnaya a 6050 m. Il panorama è mozzafiato, un mare infinito di montagne di ghiaccio, alte tutte 5000 - 6000 m. Fa molto freddo, scendiamo al campo 3 dove montiamo la nostra tenda. Al campo ci sono molte tende seppellite dalla neve e abbandonate lì. Durante la notte, molto fredda, Livia, Oli e Marco stanno tutti male.
La mattina del 3 agosto Livia e Marco non possono proseguire. Io e Francesca decidiamo di scendere tutti insieme al campo 2.
A questo punto di giorni a disposizione non ne rimangono molti. Io e Oli decidiamo di ritentare con una salita lampo, gli altri scendono. Ci teniamo il 4 agosto per riposare.

Salendo al campo 3. Sotto di noi sfila il lungo ghiacciaio e la strada che abbiamo fatto fin qui

Il 5 agosto io e Oli lasciamo il campo 2 alle 7.00, alle 10.30 raggiungiamo il campo 3. Il tempo è buono, una breve sosta e proseguiamo per la cresta del Lenin su neve ghiacciata e sassi. Verso le 14 siamo sulla parte meno ripida della cresta, il paesaggio è desolante, ci sono alcune tende distrutte sul cammino. Arriviamo al campo 4 (6520 m), siamo soli. Piazziamo la tenda dietro un masso con la parete nord sotto di noi. Io ho ancora mal di testa, prendo un altro Diamox, ma non riesco a mangiare. Per fortuna Oli sta bene e fa sciogliere la neve per dissetarci. Prima di coricarci la situazione si inverte, io sto meglio e comincia a star male Oli, sembra una maledizione! La notte la passiamo in bianco, il vento è fortissimo, il ghiaccio all'interno della tenda ci cade in faccia tutto il tempo, la tenda sembra decollare ad ogni raffica.


 

 

Sopra al campo 3. Dietro Caldo la lunga cresta che porta in cima al Pik Lenin. Qui a fianco la nostra tendina nel solitario campo 4 e le raffiche della mattina. A 600 metri la cima.

La mattina del 6 agosto il vento è sempre molto forte e la pressione sta scendendo. Io e Oli litighiamo per cosa fare. Vorrei tentare lo stesso, almeno fin dove il vento ce lo consente, Oli è irremovibile per scendere. Se vuoi andare ad ammazzarti fai pure, mi fa, io torno. Guardo la cresta per 5 minuti, la cima è là, la tentazione di andare da solo è grande, ma Oli è il mio compagno, non abbiamo la stessa concezione di rischio ma siamo sempre tornati assieme dalle nostre avventure. E' inutile... si scende, il morale è sotto i ramponi. Rapidamente arriviamo al campo 3, la cima si libera, il vento si calma, sono triste. Abbiamo perso una grande occasione. A mezzogiorno arriviamo al campo 2, smontiamo le tende, mangiamo un po' di speck e grana e ritorniamo giù sci ai piedi. A quell'ora i ponti sui crepacci non tengono più, siamo costretti a qualche acrobazia, più che una sciata la definirei il gioco del salto del crepo. Alla crepaccia terminale ci caliamo in doppia e via, di filata al campo 1. Uno yak sta arrivando in quel momento dal campo base, vado subito a contrattare il prezzo per scendere oggi stesso. Oli mi dice che sono un pazzo, ma almeno stasera dormiamo sull'erbetta e mangiamo qualcosa di umano al campo base.

Caldo e Oli dopo 12 giorni di spedizione

Si parte, scendiamo lungo il ghiacciaio, una luce stupenda, l'acqua che scorre nel ghiaccio mi fa venire voglia di tuffarmici. Saliamo per morene al passo, la roccia rossa si infuoca alla luce del tramonto, camminiamo sull'erba e le stelle alpine... provo un piacere indicibile. Persino lo sterco di yak, sparpagliato un po' ovunque, era gradevole per la fragranza campestre che si sostituiva all'onnipresente odore della neve. Perchè siamo stati tutto quel tempo lassù ? Arriviamo al campo base alle 20.00, rincontriamo i nostri compagni Livia, Annina, Luca, Francesca e Marco. Sandro e Dany sono già in Uzbekistan. A cena, carne, soia e birra... è un sogno. Nuove spedizioni sono appena arrivate, tra loro un alpinista che di lavoro fa l'osservatore per l'ONU ci racconta del suo lavoro al confine tra l'Afghanistan e il Tagiskistan, sorveglia l'intenso traffico di droga, ma niente di più, ci dice della corruzione esistente ma che non può fare che pile di rapporti e relazioni ma niente di più. Spero dentro di me che l'apertura verso l'Occidente non si traduca solo in questo per questi posti.

 

Il viaggio in Kyrghizstan e Uzbekizstan

Ad Achik Tash aspettiamo il bestione a 6 ruote per tornare ad Osh.
Nel frattempo gironzoliamo un po' tra i villaggi kirghizi. La gente vive nelle yurte e si occupa essenzialmente di pastorizia. Assaggiamo un po' del loro formaggio fresco...tanto oramai la spedizione è passata e con quello che abbiamo mangiato possiamo andare tranquilli. Le yurte verranno spostate a fine estate più a valle in modo da sopravvivere al rigido inverno.
Ripartiamo alla volta di Osh sulla URAL 6x6, sul percorso ci fermiamo in un ristorantino veramente kitch, pagato da Vadim per scusarsi del pessimo servizio offertoci al campo 1: il mio giudizio non cambia comunque di una virgola.
A Osh ci gustiamo il mercato, le bancarelle colorate e la frutta... la
frutta fresca !! La gente  è veramente un mix di razze incredibili,
un cocktail di cinese, mongolo, arabo, turco e russo.


 
 

Sotto alcune immagini del bellissimo mercato multicolore di Osh. Tra i venditori di frutta si vede un vecchio che indossa il tipico copricapo kirghizo


 

Riprendiamo l'aereo sgangherato per Bishkek (la parte più pericolosa della spedizione dopo l'andata). Qui dormiamo per 300 som (circa 6$) in un sovietissimo albergo di militari, puttane e scarafaggi. Dobbiamo isolare il letto in mezzo alla stanza e sollevare le coperte da terra, da tanti ce ne sono!! In città non c'è niente di antico, tutto ricorda ancora il regime comunista, dalle statue ai grandi viali. Da qui prendiamo l'aereo per Tashkent, capitale dell'Uzbekistan. Dopo aver espletato tutte le formalità burocratiche (ricordatevi di dichiararvi all'OVIR), troviamo un internet cafè dove lasciare un messaggio a Sandro e Dany che abbiamo perso durante la spedizione. Intanto, avanziamo verso la nostra meta: Samarcanda, dove arriviamo il 10 agosto.

Samarcanda, nell'immaginario comune legata alla Via della Seta, deve la sua bellezza a Tamerlano e suo nipote Ulughbek. Splendide le moschee e le madrase (scuole islamiche) con le bellissime cupole blu-azzurre. Assolutamente da vedere il Registan con le sue madrase coperte di mosaici e maioliche colorate, uno dei monumenti più straordinari dell'Asia centrale. Proseguendo verso il mercato, altrettanto bella, anche se un po' diroccata, la Moschea di Bibi-Khanym e le tombe di Shahr-i-Zindah. Noi abbiamo dormito alla casa privata Furkat, non esaltante ma molto caratteristica, oltre che stracomoda per visitare la città. Invece vi consiglio per mangiare il ristorante sulla Registanskaya con la voliera all'esterno. Ci siamo capitati durante un matrimonio locale ed è stato molto bello... oltre che molto buono.

 

Sopra a sinistra la moschea di Bibi-Kanym. Alla luce del tramonto immagini del Registan. Sotto il mercato affollato di Samarcanda


 

Il 13 agosto partiamo per Bukhara. La strada attraversa campi di cotone e fabbriche fatiscenti. Fa molto caldo (35 °C) e la città è molto tranquilla. Caratteristici i labirinti e la presenza di numerosi vicoli e portici che formano i cosidetti bazar coperti ove si vendono tappeti, gioielli, cappelli e altre cianfrusaglie. Fantastico il minareto e la moschea di Kalon con i mosaici blu lucente. Deludente invece l'Ark e il museo sulla storia della città, interamente in russo. Se volete invece rilassarvi e ripararvi dalla calura pomeridiana andate al Labi-Hauz, una piazza costruita nel 1600 intorno ad una piscina, potete gustarvi il solito plov e shashlyk (riso e kebab di montone o manzo) o sorseggiare un choy (té) mentre i vecchi chacchierano sulle panchine e i bambini si tuffano nella piscina da un albero. Per dormire vi straconsiglio il Fatima, soprattutto per la colazione da re (yogurt, albicocche, melone, uva, uova, salsiccie, té verde, marmellata alla rosa e pane fritto). Si trova sulla Bakhautdin Naqshband, 100 m dopo la madrasa di Nadir Divanbegi.


 
 

I mosaici della moschea di Kalon scintillano sotto la luce del sole. Sopra a sinistra la madrasa di Ulughbek

Il 16 agosto ritorniamo verso Tashkent e quindi Bishkek. All'aereoporto di Bishkek, però non ci permettono di entrare in Kyrghizstan. La regola delle 72 ore (un viaggiatore in possesso di un visto russo, uzbeko o kazako può automaticamente trascorrere 72 ore in Kyrghyzstan) valida nelle repubbliche ex sovietiche e riportata anche dalla Lonely Planet, sembra non valere più, oppure ci vogliono solo spillare i soldi dei visti....abbastanza normale da queste parti. Intanto, nella lunga attesa in aeroporto si scopre che Francesca, Marco e Luca, durante il ritorno dal Pik Lenin, si sono "appropriati" di alcuni oggetti che non facevano parte del loro bagaglio di partenza. Il gruppo si sfalda.
Come capo spedizione chiedo scusa a Emilio per l'alleggerimento di un sacco a pelo e una tenda e ai nostri amici spagnoli del campo 1 per l'alleggerimento di un fornello Markill da alta quota.
Anche se la cima non è stata raggiunta, questo viaggio-spedizione è stata una grande lezione e una grande esperienza, alcune amicizie sono state perdute, altre sono divenute più forti, alcuni di noi sono cambiati, altri si sono conosciuti meglio. E'stato proprio un grande viaggio.